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24/04/2024
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Carri a vento

Le carrozze

CARRI a VENTO
Arturo Uccelli 1946

Nei primi tempi moderni troviamo anche tentativi caratteristici di locomozione, tentativi che vogliono prescindere dall’uso della forza motrice animale giacché intendono sfruttare l’energia eolica nella stessa guisa che durante il Medio Evo si iniziò a sfruttare tale energia nei mulini a vento, cosa questa ignota sino ai tempi di mezzo. Si può dire, che alcuni tentativi di gran moda, devono la loro origine alle idee che nacquero sia alla fine del’ 500 che nel secolo successivo. Nel 1599 Simone Stevin, uno degli ingegneri più fervidi dell’epoca e che nella storia della scienza è ricordato per le sue speculazioni teoriche di carattere meccanico, costruì per il Principe Maurizio d’Orange un carro a vela (carrus velivorus) che, secondo l’incisione da noi riprodotta, doveva contenere ventotto uomini. La descrizione annessa alla figura di questo carro ci dice come fosse facilmente raggiungibile una velocità di sette miglia all’ora. In una stampa conservata al Museo Postale di Berlino e su di un’altra incisa nel 1608 da J.W.D. Ende, risultano raffigurati ancora due carri a vela che, secondo il Feldhaus, devono essere ritratti dal vero.

Fantastica invece deve essere l’incisione di Hendrick Pot, risalente al secolo VII e relativa ad un carro a vela figurato su una stampa allegorica olandese. Nello stesso secolo, lo svizzero G.C. Graupner ebbe a costruire un carro a vela che, attenendoci ad un documento dell’epoca, poteva essere usato anche come nave, cioè una specie di carro anfibio. Probabilmente tutti questi tentativi si applicare la vela al carro furono una conseguenza dello sviluppo delle costruzioni navali che dal secolo XVI in poi abbandonarono il remo per issare le vele. In quest’epoca infatti sia nel naviglio mercantile che in quello militare andarono sempre più scomparendo le galere a remi per far posto alle gaelazze ed ai galeoni che solcarono arditamente i mari lungo rotte alcune delle quali mai prima di allora seguite da alcuno.

Ma se muoversi sull’elemento liquido era agevole utilizzando l’energia eolica, nella stessa guisa che si era praticato in antico prima che le necessità militari di manovra imponessero la schiavitù del remo, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda la locomozione terrestre. Infatti, la regolarità dei venti sopra le ampie distese oceaniche non interrotte da ostacoli di sorta, è di gran lunga maggiore di quella che non si possa avere sulla terra ferma. E questo sia detto senza contare che, anche quando vi fossero venti periodici sui quali poter fare un certo affidamento, malagevole sarebbe il percorrere strade di montagna od in terreno accidentato. Sappiamo tuttavia che l’energia eolica venne sfruttata mediante carri a vela in alcune zone del Cile ove si raccoglie il guano. Quivi si costruirono, nel secolo scorso, prima che entrasse nell’uso comune il motore a scoppio e quindi l’autocarro, mezzi di trasporto che erano azionati dall’energia del vento. Una variante nella locomozione a vela possiamo trovarla, nel 1629, anno in cui G. Branca nella sua opera abbozzò il progetto di un carro che doveva essere mosso da una ruota a vento ad asse verticale. Otto anni dopo la stessa idea venne ripresa da John Wilkins nella sua opera Mathematical Magic. Dato il successo ottenuto dal carro a vela di Simone Stevin, il vescovo Wilking scriveva nell’opera anzidetta che sarebbe necessario tentare la costruzione del suo veicolo a vento proprio per esaminare se fosse o meno il caso di sostituire alla velatura del carro di Stevin “una velatura mobile alla quale la forza giungerebbe mettendola in movimento a somiglianza di un mulino”.

Nel 1714 la stessa idea, ma in modo più ampio, venne ripresa da un inventore francese: il Du Quet. Questi propose dapprima un tipo di vettura recante un dispositivo di pale a guisa di mulino orientale a mezzo di una manovella che, nell’incisione da noi riprodotta, figura in modo abbastanza chiaro. Il secondo tipo di carro proposto dal Du Quet ci presenta una ruota a dodici pale capace di imprimere un moto alternato a due paia di dentiere che ingranano sull’asse delle ruote motrici. Verso la fine del secolo XVIII venne provata in Inghilterra una vettura a vela che sembra abbia dato ottimi risultati. La struttura di questo veicolo era molto analoga a quella che ai tempi nostri venne seguita dalla costruzione di quelle piccole vetture a vento che a titolo di svago ebbero un certo successo su diverse spiagge americane e europee.

Ai principi dello scorso secolo, ad onta che si fossero già compiuti i primi tentativi di applicare il vapore alla locomozione terrestre, assistiamo ancora alla costruzione di carri a vela. Proprio del 1802 è il così detto cocchio volante costruito da Josè Boscana a Valenza. Alberi e velatura, come risulta dall’incisione riprodotta, sono disposti con una certa razionalità rispetto alle costruzioni precedenti. Meglio ancora lo furono nell’ultimo tentativo di locomozione a vela: quello compiuto, nel 1834, riuscì ad affermarsi brillantemente in due dimostrazioni pubbliche delle quali i giornali dell'epoca ci hanno lasciato la descrizione.

Lo stesso dicasi per la realizzazione ottenuta in Inghilterra da George Pocock nel 1826. Questi ebbe l’idea di combinare il così detto traino di cervi volanti (aquiloni). La vettura di Pocock, infatti, come risulta dalla figura riprodotta, era rimorchiata da dei cervi volanti (aquiloni) che riuscirono data la leggerezza del veicolo, a far compiere allo stesso percorsi molteplici anche su lunghe distanze ad una velocità media compresa fra i 25 ed i 30 chilometri orari. L’8 gennaio 1827 la distanza di un miglio su terreno accidentato venne superata in due minuti e tre quarti ed una sera, tra Londra e Bath, la vettura riuscì a superare brillantemente una tappa di dieci miglia battendo di 25 minuti il percorso i una diligenza ordinaria. Purtroppo tutti questi espedienti naufragarono miseramente in quanto in mancanza di vento non si muoveva una foglia, mentre la trazione animale era sempre disponibile.

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