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TRAZIONE ANIMALE
ARTURO UCCELLI 1946 MILANO
LO SFRUTTAMENTO RAZIONALE DEL CAVALLO
Tecnicamente il progresso della locomozione a traino animale deve essere esaminato sotto due punti di vista differenti:
1° quello del miglioramento del sistema di attacco che ha permesso di aumentare il rendimento dell’animale trainatore.
2° quello del miglioramento dell’ambiente da traino, ovvero la strada.
Quello che più ci interessa è il primo, ovvero il sistema di attacco, quando cioè si comincia a studiare lo sfruttamento migliore dell’energia motrice dell’animale da traino. Esso giustifica una curiosità legittima di molti amatori i quali non avevano celato la loro sorpresa nel trovare dei tratti caratteristici comuni nelle figurazioni di cavalli antichi di qualunque epoca esse fossero. Anzitutto gli intenditori erano stati sorpresi esaminando il modo strano con qui i cavalli attaccati ai veicoli risultassero cinghiati sotto il ventre. Bassorilievi, pitture, monete, affreschi e tutta una serie di documenti a noi pervenuti, ci mostrano sempre il cavallo nell’antichità in un atteggiamento impettito abbastanza singolare. La bardatura principale del cavallo sino dall’antichità remota consisteva in un collare di gola ed in una cinghia pettorale come facilmente può essere rilevato da un dettaglio esistente in un bassorilievo assiro-
Nell’epoca attuale viviamo una vita molto intensa in cui le scoperte vanno susseguendosi con una rapidità grande, così da annullare entro il giro di pochi anni quanto poteva essere considerato una novità o un perfezionamento di natura tecnica, sembra strano che siano occorsi migliaia di anni per conquistare nel modo migliore la forza motrice de cavallo, dell’asino, del bue e di altri animali. Sta di fatto che in antico si dovette andare un po' a tastoni. Tuttavia, possiamo limitare nel tempo l’attacco e la bardatura antica del cavallo al X secolo d.c. giacchè, così facendo, non pecchiamo in modo soverchio né in difetto né in eccesso.
In antico gli organi di trazione e di governo del cavallo risultavano distinti in due gruppi. La trazione era realizzata dal collare, dal giogo e dal timone. Il primo di questi organi, il più importante, era costituito da una fascia di cuoio flessibile che circondava il collo del cavallo alla stessa guisa del collare di un cane e quindi senza che venissero toccate le spalle dell’animale. Le due estremità del collare, che risultavano assottigliate, venivano congiunte al giogo sopra il garrese. Il giogo consisteva in un’asta di legno flessibile cavigliata e legata a croce sul timone. Tale asta posava con le sue estremità sul garrese dei due cavalli timonieri. Da ultimo, il timone era costituito da una lunga barra di legno fissata all’assale sotto il carro. L’attacco dell’animale veniva ottenuto mediante il giogo, il timone e la cinghia, costituita da una fascia di cuoio molto flessibile e molto più stretta del collare, che circondava il petto del cavallo al di là dei cubiti, attaccandosi, come il collare, al giogo sopra il garrese. Da ultimo, in questo gruppo di organi, vi avevano il morso di briglia identico all’attuale, le bardature della testa, pure costruite in cuoio, e le due briglie.
Il difetto principale di una bardatura antica consisteva in questo: quando i cavalli esercitavano uno sforzo di trazione, il collare veniva a premere sulla gola degli animali proprio in corrispondenza alla trachea ed ai grandi vasi che erano compressi in modo maggiore o minore a seconda che la resistenza del mezzo fosse maggiore o minore. I cavalli, per non rimaner soffocati, avevano quindi la tendenza a rialzare la testa e di conseguenza a rigettare il peso indietro sui garretti, fatto questo che era nocivo perché intralciava e quasi paralizzava ogni sforzo notevole di trazione. Ed è appunto per questa mossa istintiva di difesa dei cavalli che noi scorgiamo nelle antiche figurazioni quell’aspetto caratteristico del quale abbiamo fatto cenno e che ha sorpreso non poco diversi cultori di storia dell’arte; non si tratta di una apparenza nobile dell’animale di razza, ma di un suo atteggiamento che era comune tanto ai destrieri quanto ai ronzini, ma di una posa necessaria ad evitare sofferenza.
In tali condizioni il rendimento del cavallo non poteva essere gran cosa. Un documento oltremodo interessante per il nostro studio è il “De cursu publico”, esistente nel Codice Teodesiano, codice redatti all’epoca di Teodosio II figlio di Arcadio, pubblicato a Bisanzio nel 438 ed in Occidente da Valentiniano II. Tale documento, che venne inserito nel 506 nel Breviario di Alarico II re dei Visigoti, può essere considerato alla stregua di un regolamento del traffico delle poste imperiali. Secondo questo documento un carico massimo era imposto alle carrozze sia che attaccassero cavalli, muli o buoi. Erano comminate pene che consistevano in forti ammende non solo ma che comminavano altresì l’esilio per i cittadini liberi e pene corporali per gli schiavi, qualora venissero trasgredite le norme di carico. Questo non doveva superare le 300 libbre, quindi poco meno di 100 kg. dei nostri, per i veicoli leggeri a due ruote come la birota e la vereda. Il carico poteva raggiungere 1000 libbre, cioè 328 kg. per le carrozze ed i carri a quattro ruote destinati al trasporto di persone come la rheda o ad uso promiscuo come il carpentum. Si poteva raggiungere i 492 kg. di carico massimo per le vetture lente ed i carri da trasporto che erano qualificati più specificatamente coi nomi di angaria e di clabula.
Oggi, se dovessimo costruire un carro in tutto e per tutto simile a quello dei Romani, potremmo con lo stesso animale, esercitare uno sforzo di trazione molto, ma molto superiore, in dipendenza appunto del miglior modo di attacco del cavallo mediante una bardatura più razionale. Il comandante Lefebvre den Noettes, che diversi anni or sono ebbe a studiare per primo questo argomento, oltre a raccogliere una documentazione quanto mai interessante, volle anche sperimentare e controllare praticamente i risultati di un attacco eseguito secondo l’uso antico. Si ebbe così la riprova che nelle condizioni in cui l’animale veniva allora a trovarsi, la maggior parte della forza motrice rimaneva inutilizzata e che non era possibile superare i limiti di carico imposti dal “De cursu publico”.
Quando i cavalli erano appaiati, e si trattava di questo nella maggior parte dei casi, ciascun animale, dato il modo di attacco, esercitava uno sforzo obliquo di trazione, e sotto sforzo, ogni animale aveva la tendenza di avvicinarsi all’altro animale della pariglia. Per evitare questo avvicinamento soverchio e reciproco della pariglia potesse essere più nocivo di quanto già fosse l’attacco per se stesso, ogni animale portava all’altezza del fianco e connessa alla cinghia ventrale una spazzola con degli aculei che lo obbligavano a mantenere il giusto intervallo ed a modificare la tendenza che rendeva la linea di trazione obliqua anziché parallela a quella del moto. Anche per questa sofferenza che gli animali provavano, giacchè non era possibile evitare sempre le punture degli aculei, possiamo spiegarci l’atteggiamento col quale i disegnatori, incisori e statuari ebbero a rappresentarci il cavallo nell’antichità classica qualora lo stesso risultasse attaccato e non libero. Quanto è stato detto per il più nobile animale da tiro e da sella, potrebbe essere ripetuto per il bue, salvo naturalmente le opportune varianti per ciò che si riferisce all’attacco del giogo.
Giunti a questo punto potremmo domandarci in qual modo gli uomini siano pervenuti a bardare ed attaccare razionalmente il cavallo per valersene nel modo migliore. Esaminando più attentamente la bardatura si constata che l’organo essenziale di trazione è identico alla cinghia pettorale moderna, cinghia flessibile collocata orizzontalmente e sostenuta a mezzo di una coreggia al garrese allo scopo di poter essere appoggiata anche alle spalle. Comunque, in Occidente, i primi progressi in fatto di bardature e di attacco corrispondono all’epoca dei primi Capetingi, epoca in cui vediamo per la prima volta apparire l’attuale collare di spalla come figura nell’incisione riprodotta e che venne ricavata da un manoscritto latino datato agli inizi del X secolo. Più evidente il collare di spalla riprodotta nell’incisione del manoscritto di Herrade di Landsberg, conservato alla Biblioteca di Strasburgo. Tale documento è importante perché fornisce anche la prima figurazione di un bilancino. Esso risale al XII secolo, nelle due immagini riprodotte i cavalli non gettano più la testa indietro e non rigettano più il peso dei loro corpi sui garretti. Si comprende come essi respirino liberamente ed allunghino l’incollatura in modo da appoggiarsi in avanti e gravitare col loro peso sul collare di spalla.